Di proposito non darò un volto a questo dolore, ognuno ne focalizzi uno sentito come tangibile e importante.
Tanto più si pensa a un dolore, anche fisico, quanto più diventa intenso, spicca nella vita come se ne fosse il centro, un pilastro portante, il nutrimento. Tutto nostro, avvolto intorno a noi e allo stesso tempo sprofondato nell’io. Così reale e immenso da… non poterne più fare a meno. “Quello sono io, sì quel dolore sono io”.
Prendiamo per vera questa affermazione, questa convinzione.
Ma… se non lo fosse? se fosse falsa?
Se quel dolore non fosse connotato da tutte le caratteristiche che gli attribuiamo, da una storia precisa, da un’intensità tutta sua. Se osservandolo distaccati, proprio lontani ci accorgessimo che è un po’ pallido, sfocato, inventato, sottolineato. Se da un episodio avessimo creato un romanzo. Se fermandoci sapessimo bene che quel grattacielo o quella stanza scomoda l’abbiamo fatta noi, per poi viverci dentro. Allora sarebbe ancora un dolore o piuttosto una nostra costruzione frutto di chissà quale causa? Comoda perché conosciuta, è la nostra, allo stesso tempo tremendamente soffocante e induttrice di sofferenze. E’ dentro di noi, ma se non fosse reale? solo vecchi mattoni sgretolati?
Come scoprire ciò che non esiste? fermandosi a cercare le frasi lamentose, i gesti sempre uguali, i desideri fermi nel mondo dei sogni, i mancati cambiamenti, le sfumature di umore con coordinate immutate da tempo… questi sono tutti movimenti ripetuti in modo meccanico, robotico, niente è volitivo e creativo, nulla è frutto di decisioni fiduciose, di speranze riposte, insomma nulla nasce, solo spento si ripete, inanimato.
Nel reale ci sono ossigeno, vitalità e voglia di crescita.
Può essere difficile da soli individuare e trasformare il non reale che c’è in noi. La coscienza che tanti dolori psicologici sono mancata realtà è un passo avanti, una luce che indica quanto è migliorabile. Quando poi si vuole cercare un aiuto per sfatare miti dolenti, lo si trova.