
L’arte conosce fratture e ne esprime.
In letteratura menti e cuori lacerati sanguinano e urlano per i lettori, per sentirsi in compagnia dei lettori. In pittura le fratture fuoriescono da tele scure come da tele coloratissime. Nella musica suoni stridenti come dolcissimi cavalcano onde di dolori. Ogni arte sa parlare, sa comunicare fratture scomposte. Anche in sordina. Un attore sul palco, in mezzo alla sua scena urla dalle viscere tormenti, così come un gesto lento di una sola mano riesce a comunicare profonda angoscia, persino la perdita dell’essere.
Chi giunge dagli Specialisti in Relazioni d’Aiuto vive fratture, anche scomposte, in certi casi da lunghi anni, con calli doloranti che non consentono completezza e armonia dei movimenti. Parla di queste dicendo che non ne può più, che desidera andare oltre, stare bene. Alcune persone raccontano nei più piccoli particolari il loro dolore e la sua storia. Parola dopo parola, si comprende che quel dolore per loro è un compagno. Un compagno odiato e amato. Potranno farne a meno? Avrà senso sviscerarlo? In ogni caso come convivere con esso, accettarlo e poi superarlo? Un passo dopo l’altro.
Ci si affeziona a ogni parte della nostra esistenza, anche ai periodi tristi, a quelli rabbiosi, a quelli con perdite. Si è capaci di legarsi a tutto, anche a ciò che ci fa vivere e rivivere e vivere ancora la sofferenza. Attaccati a un tutto, come se non si potesse farne a meno, come se fosse la forza di gravità che ci tiene su questa Terra, coi piedi a terra.
Siete seduti? alzatevi e… salterellate un po’. Quando saltiamo, quando balziamo ecco che per un attimo non siamo a terra. Ci piace farlo, è divertente, ha un non so che di indipendente: per una frazione di secondo si vola con la forza dei muscoli. Niente di eccezionale, si tratta solo di contrarre qualche fibra. E’ un piccolo sforzo, all’inizio un atto di coraggio.
Per lasciare i dolori: osare! fare un salto per allontanarsi dalle certezze, dall’humus di sempre, da quello privo di nutrienti. Scegliere un ponte da attraversare: su una sponda il passato, sull’altra il futuro da costruire. Il ponte si trova con cura, ma non fermatevi a pensare per mesi e anni, rischiereste di restare sulla sponda di sempre. Muovetevi passo dopo passo, ogni passo è un distacco, uno scoprire, un andare.
Tutto questo è fatica, è sudore, è conquista di piccoli nuovi spazi, piccoli davvero. Un lavoro di trincea. Questo non lo scrivo per scoraggiare, ma perché è la verità. Tutto si ottiene con la continuità.
Un esempio che spero vi piaccia. Se siete dei golosi e volete farvi la marmellata di ciliegie potete acquistarle o coglierle. Chi ha avuto l’occasione di avere tra le mani un bel cesto e di riuscire a riempirlo sa bene quanti frutti ha “assaggiato”, quanti ne ha riposti. Arrivati in cucina a uno a uno vanno tolti i noccioli, chiacchierando, con sottofondo musicale, pensando, qualunque cosa farete scoprirete che è un lavoro paziente, molto. Passerete a rimescolare i frutti con lo zucchero, porrete a cuocere, quindi metterete nei vasetti e sterilizzerete. Forse qualcuno sceglierà la strada dell’acquisto di questa marmellata. Fatta con le proprie mani, il proprio tempo, un tocco di dedizione diventerà La marmellata. Così con noi stessi.
Non affrontiamo le fratture parlandone dalla diagnosi alla prognosi, passando per chissà quanti esami clinici. Facciamo riabilitazione col corpo. Stiamogli accanto con una mente determinata e paziente, anche comprensiva. Il corpo non si sferza, lo si accompagna. Lui sfiorerà i nostri pensieri, tenendo loro compagnia e rendendoli più fini. Fini ossia lievi, delicati e lineari.
Ciliegia dopo ciliegia si arriva alla propria marmellata. La si fa semplicemente: togliendo noccioli. Passo dopo passo si costruisce il proprio futuro.