Oggi interrompendo il mio cammino per caso voltandomi ho trovato una strelitzia con le sue foglie a farle da corona e le sue radici salde nel terreno.
Ha linee acute e perfette, pare altera.
Ma, come vedete, è una semplice: mi ha concesso un ritratto.
Un’antica leggenda narra di lei come oggetto di dono prezioso nel significato. Veniva scelta una pianta con un solo fiore sbocciato, aperto come un ventaglio o se volete come un’ala d’uccello.
Per chi lo riceveva le parole della tradizione suonavano così: “quando nasci sei come un fiore lucente, ricco di energia, rivolto al sole e al cielo. Ora, ecco, tocca a te far sbocciare gli altri due fiori, perché arrivino ad essere tre. Lavorerai per pensare all’acqua e al concime, ti prenderai cura di loro ricordandoti del rispetto e dell’amore che devi a te stesso. Il giorno in cui i fiori saranno tutti insieme davanti ai tuoi occhi ed al tuo cuore, sarai nato per chisei”.
Allora ogni volta che incontrate una strelitzia pensate a questa magica storia, sorridete e continuate a sbocciare.
“La mente non ha bisogno, come un vaso, di essere riempita, ma, come la legna da ardere,
ha bisogno solo di una scintilla che la accenda” Plutarco
La mente ha bisogno di aria, di spazi, meglio del vuoto, “del vuoto tra le mani” come diceva Jung. Ci portiamo appresso tanti pensieri, siamo occupati da mille preoccupazioni, crediamo così d’essere molto occupati, sì indaffarati e spesso crediamo d’essere infelici. Lasciando andare via il troppo, l’inutile le mani restano finalmente vuote e il senso di malessere scompare, cedendo il passo alla leggerezza.
A partire da richieste che riguardano lo star bene e il desiderio di cambiamenti cosa accade in una Relazione di Aiuto?
Si crea un ambiente, se vi piace una nicchia ecologica o anche un laboratorio (proprio dal latino laborare, lavorare) in cui ognuno si sente al suo posto, anche per esempio nell’aver scelto l’angolo dello studio che più gli piace o che in qualche modo lo conforta.
Il passo successivo? almeno per me calarmi in un mondo che non è quello dell’Altro, né il mio, non è un mondo di mezzo, tanto meno un mezzo per, è un nuovo “territorio” dove si crea La Relazione. Questa Relazione non è uno dei due, né la loro somma, neppure il loro essere vicini in una camera. Immaginatela come una zona accogliente, con un suolo soffice, un’atmosfera rarefatta dove molto può prendere corpo, trasformarsi, scomparire, passare rapidamente o divenire importante essenza. La mia mente lenta si svuota preparandosi all’ascolto; mi è di grande aiuto il mio respiro, lo rendo quieto costante, contemporaneamente mi rilasso, sento i punti di appoggio del mio corpo sulla poltrona e dei piedi a terra. Mi preparo a essere in un nuovo mondo per ora vuoto e aspetto il fluire delle parole, le pieghe di un viso che pian piano diventa familiare…
In questa zona completamente nuova, sgombra da pregiudizi, con un tempo che è dato dal battere del cuore e non da invadenti lancette si può lasciare che accada… cosa? proprio non si sa, l’importante è non esercitare spinte e neppure frenare, non aggiungere ingredienti in un piatto che non è il nostro.
La presenza cosciente è la sola che garantisce la comprensione dell’Altro e la possibilità d’essergli d’aiuto.
Seguire stralci di vita non è un qualcosa di contorto o cerebrale, non è farsi Azzecca-matasse, non è indicare a altri l’Est, neppure divenire statue marmoree che lasciano scorrere ondate di parole.
Seguire questi stralci è un essere accanto, un po’ di fronte, un po’ di fianco con un corpo che si protende il giusto verso la Persona, con una delicatezza che varia a seconda di chi è lì con noi, con una presenza dei piedi, delle mani, del respiro, delle parti del volto, di un busto che ondeggia un po’ in avanti un po’ indietro in una danza che sottolinea stati d’animo, passioni, interrogativi, timori, rabbie, desideri, aspettative… Un corpo che lasciandosi andare diviene ballerino partecipe di quello che è il racconto di vita dell’Altro. Nella narrazione ogni sentimento, ogni sensazione e ogni mutamento d’espressione e postura vibrano nello spazio della Relazione. E questa vibrazione la si sente e la si può sottolineare con cenni del capo, con l’uso di diverse vocali, con punteggiature che lasciano l’Altro libero di continuare a esprimersi. L’ascolto fa parte della fornace del “territorio” della Relazione, non dà nulla di nostro, neppure una parola, lascia che una Persona si chiarifichi a se stessa, quasi senza accorgersene. E’ un nuovo dialogo che inizia ad avere con se stessa, al di fuori delle formelle di tutti i giorni, degli schemi reiterati. In questo “territorio” altro dal Cliente e dal Counselor tutto può muoversi e aprire vie verso il fare diversamente.
Il primo fare della Persona sarà lo scoprire quanto è di peso, le inutilità. Il secondo liberarsene, per sempre. A mano a mano che le sue mani saranno sempre più vuote, avrà spazio per iniziare a stare bene.
Capita che mi metta a giocare con le parole, trasformandole in ciliegie di pensieri.
Lo scorso pomeriggio canticchiavo “la donna è mobile”, non so proprio come mai, saperlo comunque che importerebbe. In un attimo mi è balzato alla mente un mobile di casa a me caro: la mia poltrona. E’ tutta in legno con due cuscini, scelti di due colori diversi. E’ larga e comoda, stilizzata. Mi stiracchia ogni vertebra della schiena e sui suoi braccioli adagio le mie braccia.
Spesso mi sono posata stanca, immersa tra inutili riflessioni che si rincorrevano alla ricerca di perché, nella speranza di risposte, con segmenti di vita ripescati da chissà quali tempi, messi in fila e poi rimescolatisi. Quanto spreco di tempo e soprattutto di energie.
E’ capitato che vi abbia accolto uomini o donne che desideravo ascoltare, con le quali dare inizio ad una conoscenza e poi chissà ad un’amicizia, ma nulla del desiderato si è realizzato.
Si sono accomodate persone che mai l’hanno vista, ma per me era una gioia immaginarle proprio lì.
Dopo anni so quant’è preziosa.
Mi siedo e mi ascolto con cura, i pensieri accalcati iniziano a scorrere fluidi, in palloncini colorati rigonfi di elio volano in alto e via quelli inutili. Con me restano l’utile ed il prezioso. Quando mi alzo, parrà strano, pure il corpo è rilassato, i muscoli si sono allungati da sé, e il respiro si è fatto profondo e calmo.
Questo inizialmente fu un esercizio, ora sta diventando un momento dedicato a me, per me. Non c’è nulla di egoistico, è un prendersi cura di sé, sempre più amorevole.
Vi faccio accomodare, anche con la fantasia, voi persone con le quali il silenzio è il più profondo dei dialoghi e le parole sono le risa ricorrenti di occhi conosciuti e brillanti.
Non un mobile come gli altri, è un po’ magico, abita nel profondo.
In un comune tandem chi sta dietro non sente tutta la brezza, né vede l’orizzonte, non sceglie direzioni. Colui che è seduto davanti fende l’aria e il più delle volte gli tocca il decidere.
Meglio due biciclette libere di andare coi loro piedi e le loro mani, talora capaci di farsi vicine come in un tandem coi sellini i manubri e persino i campanelli affiancati…
«Eh, sveglia!» -disse il tipo, scuotendolo- «Ora è passato, è stato duro ma è passato»
«Dove mi trovo? Mi sento frastornato e indolenzito, ma forse non è il termine giusto…»
«Frastornato si, indolenzito effettivamente no perché si riferisce al corpo; e tu il corpo non l’hai più…»
«Perché?»
«Oh bella, ma perché sei morto!»
«Mortooo?»
«Morto!»
Non riusciva a credere a quelle parole; vedeva, si vedeva e si toccava, anche se la percezione del tatto era più formicolante, elettrica se vogliamo. Ma non si dava pace di essere morto quando in fondo, si sentiva così vivo e presente a se stesso.
«Non preoccuparti –gli disse il suo interlocutore con dolcezza– è normale sentirsi così, capita a tutti dopo il grande salto; ed è normale non ricordare nulla o poco del tuo recente passato corporeo: qualche ricordo affiorerà pian piano; gli antichi greci avevano inventato il Lete, l’immaginario fiume degli inferi…
Quando riprese coscienza di sé Sonio notò che il suo anfitrione lo aspettava ai margini di un sentiero.
«Mentre non ero con te, ho ricevuto un vecchio filosofo che mi ha sottolineato l’importanza di essere peripatetico e di come tale termine abbia anche una derivazione femminile con un significato simile ma non uguale. Ma temo che abbia voluto fare dell’ironia. Comunque passeggiamo?»
Sonio non si fece pregare ed accettò volentieri, aveva ancora tante domande da porre!
«E del tempo che mi dici?»
Lo guardò come un premio nobel potrebbe osservare uno studente delle scuole medie.
«Lo sai bene che si tratta solo di unità di misura inventate da voi per comodità; milioni di altri mondi hanno il loro tempo ma qui l’idea non esiste: è una dimensione che non ci appartiene…»
«Ma così, tanto per farmi un’idea, da quanto tempo sei qui?»
Mi reputo vecchio da ben prima che fosse l’anagrafe a denunciarmelo. Un tempo non sarebbe stato così, ma la società di oggi ha creato un limbo, una non-età: quella dei non più giovani e non ancora pensionati che, estendendosi sempre più di giorno in giorno, sta assorbendo in sé la maggior parte della popolazione.
La questione insidiosa non è quella di invecchiare, ma di venire archiviato, ad esempio in una bara, prima che se ne occupi l’INPS.
Negli anni del “limbo” mi scandalizzavo di come fosse stupido il “nuovo mondo” e di quanto poco i “nuovi eroi” prendessero in considerazione la nostra esperienza. Da un po’ di tempo ho compreso che questa giagulatoria è in utile ed ingiusta. Mentre sei giovane — quale che sia l’età in cui questo può essere affermato — ritieni a buon diritto di potere costruire il tuo mondo, giusto o sbagliato che…