• Siamo nati scoprendo
  • La nostra casa ce la portiamo dentro
  • Capita di voler esternare cose piccole, per farle notare.
  • “Da un Counselor vado per trasformarmi”
  • Le ali dell’inconscio
  • Sapere di che panno è vestito qualcuno
  • “Sono così” e il cambiare
  • Vi sentite pieni di energia?
  • Mi siedo, vi guardo e sarete voi a parlare.
  • Quel molto che mi hai dato
  • Vertebra dopo vertebra si torna in piedi
  • La cucina del cuore
  • Quel filo solido
  • Lamentiamoci un po’
  • quel suo racconto dorato
  • Confini apparenti
  • Principio
  • In un bar del centro, la mattina.
  • Dal dovere fattosi macigno al: teniamoci il meglio
  • “Fratture scomposte”
  • Il counselor e l’ipnotista in me

Cristina Merlo

Cristina Merlo

Archivi Mensili: settembre 2016

Questo autunno neonato, uno spunto anche su Ipnosi e Counseling

27 martedì Set 2016

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jan_brueghel_the_younger_paradise

Per realizzare bei ritratti con la macchina fotografica si possono usare bank, come risultato lineamenti fini, come spolverati di cipria e niente ombre.

L’autunno è un grande bank.

Con le sue luci sottili delicate soffuse pennella la realtà in ogni suo particolare e ce la fa cogliere. 

L’estate è sgargiante e ricca di tinte, confonde. Per cogliere piccole e grandi bellezze ci si avventura nelle prime e ultime ore del giorno quando i raggi solari non solo sono clementi con la pelle, ma avvolgono le cose evidenziandole.

In questi giorni, in mezzo ai mimetismi, si scovano tracce di arcobaleno. Davanti a noi si aprono bruni e ocra, vinaccia misti a verdi, che quieti si spengono. I rami si spogliano per concedersi il giusto riposo. Tutto si fa un po’ più lento nel suo avanzare. Camminando attenti si afferrano le diversità di una natura che, concedendo nuovi spazi, abbandona foglie ingiallite come nutrimento di insetti batteri funghi. Nulla cade sulla terra senza nascite, senza essere concime. Ci vuole coraggio per sbarazzarci delle nostre foglie avvizzite, senza clorofilla, inutili, non più fronde. A terra sono nutrimento. Per sentirci più leggeri quando fatichiamo a distruggere il vecchio,  basterebbe pensare “Nulla si crea nulla si distrugge” ; se ne va da noi, farà crescere, “tutto si trasforma”.

L’autunno invita a scoprirlo. Non solo gialli rossi arancio, che affascinano uno alla volta e accostati. Giorni sempre più brevi, profumi di sottobosco, aromi di frutti, aria fina punteggiata sera e mattina da minute gocce.

Ognuno ne dà una diversa descrizione e lo vive in modo tutto suo. Chi aspetta la festa con vini rossi e caldarroste, chi scivola nella malinconia nata forse dal dì corto, chi pensa alla coperta per la notte. Quelli che vagolano col naso all’insù per i nuovi odori, per sentire quella punta di umido che colora dai prati al cielo, per nutrirsi dei campi appena arati…

Mi piace l’idea di avvicinarsi agli Altri in modo soffuso, osservarli e star loro accanto come presenze delicate, mai invadenti. Usare i nostri occhi come un pittore fiammingo, cogliendo i particolari dentro la realtà, il più possibile con le sue luci. Raggi autunnali…

Ipnotisti e Counselor coi loro Clienti colgono differenze e uguaglianze, similitudini e incongruenze. Afferrano emozioni, forti lievi accennate malcelate e di queste si fanno poeti, cantastorie, teatranti per lasciare che l’ Altro con tutte le Sue Parole scriva il Suo racconto, il Suo vivere. 

Ipnotisti e Counselor avvolgono il Cliente con uno sguardo aperto, con un corpo che diviene capace di sintonia. Ogni Persona è poliedrica e la si sente vibrare.

L’autunno, lieve in tutte le sue lunghezze d’onda, avanza con passi felpati e permette incontri. Come non usarlo per incrociare vite, per aiutarle a vedersi allo specchio attente  e calme, capaci di sottolineare e usare le loro risorse e gettare le inutilità.

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Non sono un’artista, ma i colori…

18 domenica Set 2016

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GIGI COMOLLI Il lago dai prati, 1935 circa back GIGI COMOLLI GIGI COMOLLI (Milano 1893 ~ 1976) Il lago dai prati, 1935 circa Olio su tela, cm 74x90   Firmato in basso a destra GG Comolli


Gigi Comodi  Il lago dai prati, 1935 circa

 

Ditemi che vi è capitato di frenare di fronte a una vetrina per artisti. Colori di ogni tipo segnano il tempo della creatività. Ognuno porta il suo segno in noi, si esprime sotto forma di multiformi sentimenti.

Ricordo quando mi venne spiegato il rosso Tiziano, mi pareva interessante. Quando fui di fronte a un’opera dove questo rosso alto drappeggiava, il Tiziano divenne un mio Maestro. Non maestro di pittura chiaramente. Un qualcosa di lui mi aveva illuminata e anche scaldata.

Ognuno ha il suo o i suoi colori preferiti.

Ogni colore vive della sua bellezza.

Nel corso di una vita indossiamo abiti in cui prevale l’uno piuttosto che l’altro o siamo fedeli allo stesso. Tutto va molto al di là di stoffe, arredamento, quadri e fotografie.

Ogni singolo colore ha la sua lunghezza d’onda, lo sentiamo vibrare in noi, ci regala energia e emozioni.

Immaginiamo un paesaggio: prevale il verde, alzando gli occhi al cielo sarà il blu con nubi forse bianche. Con calma abbassiamo lo sguardo e incontriamo la terra coi fiori e le erbe. Fermandoci e sedendoci iniziamo a cogliere i particolari, le sfumature, i tocchi da Maestro della Natura. Nell’apparente semplicità di uno scorcio di campagna o di un parco cittadino cominceremo a stare meglio, bene. Ogni colore dona il suo contributo, anche se non ne siamo coscienti. Ora proseguiamo fermi nella quiete, diventiamo scopritori di sensazioni insite in ogni raggio, ogni creatura pregna delle sue tinte si disvela a parti sempre più profonde in noi. Inizia un dialogo coi colori, li sentiamo nella loro maestosa potenza o nella loro soffusa delicatezza. Sappiamo che sono una nostra parte. Possono essere un collante tra la nostra dispersa unità e l’unicità dell’intorno. Ci fanno sentire vicini al mondo, alle sue vibrazioni, alle onde che ci attraversano.

Gli occhi? quanto è difficile ricordarne e descriverne i colori. Diciamo verdi, ma così non sono. Quando guardiamo una persona nel suo sguardo non sono i colori a colpirci per primi, ma un’atmosfera e un modo di essere che attraversano l’iride e la pupilla. Il marrone e l’azzurro sono veli sopra un mondo profondo, attraverso cui passano il mistero, il fascino e il palese.

Tutto va molto al di là del colore…

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Dal Singolo al Coro

17 sabato Set 2016

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https://www.youtube.com/watch?v=CpJO1PVGA7c

Il primo significato che assunse per me la parola coro? Cantare tra le montagne intorno a lunghe tavolate, tentando di lanciarmi in acuti. Un cerchio di voci e chitarre col loro falò.

Lavorando sul Counseling e grazie al Counseling ho scoperto gruppi di persone esprimersi in sintonia, con le parole e coi gesti.

All’inizio dei workshop ecco lievi sorrisi per riempire il silenzio, corpi scomodi sulle loro sedie. Dopo questi momenti di velato disagio ho assistito alla nascita di un Coro con una musicalità sorta dal profondo, dal confronto sincero e dalla fusione di energie. I presenti: ognuno con la sua “voce”, che non è solo corde vocali, muscoli, tonalità, volume… anzi il soffio dell’intimo con le sue melodie e le sue emozioni.

Così nella nostra vita. Quando decidiamo di avviarci verso nuove scelte siamo titubanti e intimoriti dall’ignoto.

Sorprendentemente tutto cambia dopo lo slancio iniziale.

Stare fermi dà la certezza del mondo in cui si è e forse di chi si è. Quando il malessere ci visita spesso, i muscoli sono intorpiditi, le ossa gemono, lo stomaco è contratto, l’aria non è accolta dai polmoni allora tutto ci dice sei nella melma e di lì devi uscire. Come? cercando il nostro Coro Interiore fatto dalle nostre voci, dalle note vibranti, dalle nostre risorse, dai nostri colori, dai nostri profumi. Riuscite a vedere questo coro? a possederlo in tutta la sua bellezza e varietà?

Troppo spesso ci diamo per vinti, ci scoraggiamo lamentosi per le poche forze… ricordiamoci che l’energia è in noi, passa attraverso ogni canale sensoriale, in entrata e in uscita, attraversa i nostri bronchi, batte sincrona col nostro cuore, cammina con le nostre gambe, vede coi nostri occhi. I tanti pensieri preziosi sono nostri amici, ascoltiamoli con immediatezza e attenzione. Curiamo materni la nostra completezza e con tocchi paterni incitiamola a muoversi. Stiamo nella consapevolezza.

Sarà un divenire, il divenire che consente di liberarci dalle nostre roccheforti.Abbattendo muri vecchi e inutili si cancellano abitudini e ruggine. Al di là non c’è la paura.

Troviamo qualcosa di migliore: le sorprese della vita vissuta appieno, con coraggio, curiosità e tanta umiltà. Chi ha la forza di vivere in modo autentico riesce a incontrare le donne e gli uomini del “Coro”.

Accanto al Coro saremo in ogni caso soli, spogliati dall’effimero e sempre più essenziali. Forse diventeremo gocce di cambiamento.

 

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Un seme di sesamo

16 venerdì Set 2016

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Avete mai sentito tutto per voi un seme di sesamo che fermo vi osserva?

Quello che sento ora mio è bianco e piumoso, molto più grande di un soffione. Passa la maggior parte del suo tempo a scrutare curioso e a fiutare interessato. Quando fermo le mie cose e gli rivolgo lo sguardo eccolo appagato nell’istante. Il suo è un continuo imparare e soprattutto un godere degli attimi. Almeno per me è così.

Il mio seme è Délphy, una femmina simile nei modi e nell’aspetto a un pastore da gregge. Mi ha insegnato a darle ordini. Appare come un essere che deve scoprire tutto, un cucciolo eterno. Mi spinge a soffermarmi per spiegarle le numerose novità nella sua vita. Quando si arruffa la cheto e così imparo a farlo meglio con me. Arricchisce col suo chiedere delicata carezze. E’ gioia quando corre coi suoi amici. E’ casa coi suoi saluti vivaci.

E’ il mio seme di sesamo perché di me sa tutto, almeno credo, e forse io sono il suo di seme.

La sua presenza dormiente o attenta mi fa stare bene e questo stare nasce proprio dal sentirmi osservata, senza giudizio.

Se esiste tutto per me un seme di sesamo, fermo a guardarmi, lo sentirò.

Essere vista per essere nei soli istanti, svincolata da tutto e dalla percezione che ho di me.

E’ tanto il desiderio di essere fuori da questo io pesante e sconosciuto, fuori dallo spazio della coscienza. Coscienza i cui limiti non mi sono chiari.

Io pesante? il mio presunto io mi va piuttosto a genio, ma l’importanza che gli attribuisco è troppa. Sconosciuto? un po’ perché cambia sempre, soprattutto perché come sapere di lui con obiettività.

Va alleggerito. Allontanandomi dalle mie certezze e da un centro tolemaico mi avvicinerò un po’ alla volta a una parte di me che mi piace chiamare Cristina. Una zona essenziale, quella che mira al dunque nelle azioni, che alza gli occhi al cielo per farsi trasportare da nubi leggere, che prende i carichi necessari. Come una ballerina di fila in mezzo al ballo della vita, con

un tocco di leggiadria da regalare a se stessa e ai tanti danzatori.

Dove stia ora il mio seme non lo so, la mia fantasia lo colloca seduto composto su un campo appena arato. Soffice terra sotto un cielo terso, sì potrebbe essere lì a guardarmi. Gli vado incontro.

Da anni i ciottoli sono per me un riferimento nella perdita della percezione del tempo. Quelli sul greto dei torrenti o lungo le spiagge. Li prendo in mano a uno a uno, ne osservo per primi i colori e poi vado alla ricerca dei cristalli. Quei luccichii che spesso non hanno nome sono una formidabile variabilità nel piccolo. La superficie liscia parla di tempi lunghi che hanno smussato ogni spigolo. Chiudendo gli occhi i polpastrelli li accarezzano come petali. Ne raccolgo sempre alcuni, mi portano la loro multiforme semplicità, mi raccontano di come la natura possa mantenere intatto il segno della sua straordinaria complessità in universi quasi invisibili.

Con gli anni ho lasciato la mia attenzione su quelli sempre più minuti. Riescono a farmi svanire, mi rapiscono. Per me il trucco è questo: più sono infinitesimali meno si classificano e prende posto lo stupore.

Anche di fronte ai fiori più belli una parte di me pensa.

Ogni ciottolo ha la sua lunga storia, un suo punto fisso e con inaspettata dolcezza conduce a una sua pace: i pensieri scorrono scorrono lasciando un colore, un brillare, un fermo immagine.

Ognuno di quei ciottoli mi ha guardata.

“Queste idee sono nate da un bel pensiero di un mio amico, Ennio Martignago”.

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